Bruggi

 

Cenni Storici

Bruggi è l’ultimo paese della valle del Curone che nasce sul suo territorio; Incuneato fra la Lombardia a nord l’Emilia a est e la Liguria a sud, ai piedi del monte Chiappo (ca 1700 mt.), situato sulla sponda destra del Curone rivolto verso sud- sud/ovest ha un’altitudine fra i 1000 e 1150 mt.,

Contornato da boschi di faggi, frassini  e carpini e da boscaglie di noccioli e roveri, ha la pineta più estesa della provincia di Alessandria composta da abeti, larici, douglas e, in quantità minore, di pini, nata da un importante rimboschimento degli anni 30’ su antiche pietraie.

Storicamente, in val Curone, vi sono tracce di insediamenti risalenti ad alcuni millenni a.c.; molto importante il centro archeologico di Guardamonte a circa 15 km sulla sponda destra del Curone, è quindi più che probabile che il territorio di Bruggi fosse frequentato o abitato già nel primo millennio. E' citato per la prima volta in due atti del 1300 e del 1306.

Fu feudo dei Malaspina, citato in un atto del 1369, ed in seguito, dopo la congiura dei Fieschi, dei Doria, sotto la cui amministrazione, l’alta val Curone ha goduto di parziale autonomia amministrativa.

Verso la fine del 700 passarono i Francesi di Napoleone che pattugliavano il Carmo ed il Bo­glelio, là dove c’era il confine del Regno Lombardo-Veneto che era sotto la domi­nazione austriaca.

Il luogo ove i Francesi si riposavano che si trovava presso una fontana per l’ab­beveraggio degli animali, fra i monti Carmo e Boglelio, fu denominato dagli abi­tanti la «Piana dei Francesi».

Pare addirittura che lo stesso Napoleone abbia occupato il paesino e, passando con le sue truppe, abbia dato origine al nome «Armà» (armata).

L’ andamento demografico è analogo ai molti paesi dell’appennino; la popolazione dal 1600 al 1850  si è mantenuta fra le 200 e 300 persone, dal 1850 è aumentata fino a superare le 500 unità ad inizio 1900, poi un lento inesorabile declino. Ora per contare gli abitanti dei vari paesi bastano le mani, spesso una sola.

Prima dell’attuale vi era un’altra chiesa situata in centro del paese poco sopra l’ex albergo miramonti con il cimitero attiguo. L’attuale chiesa è dedicata a San Rocco, in seguito ad un voto fatto al santo per salvare il paese da un’epidemia.

Occorre ricordare che negli anni 1630-31 la valle era stata interessata dalla pestilenza che ha colpito tutti i paesi ma taluni molto più di altri, in particolare Salogni  subì gravemente l’epidemia, ma anche Bruggi  pare nel 1632 ebbe molte vittime, infatti numerosi resti di persone giovani sono stati rinvenuti durante lo scavo per la costruzione del vivaio forestale  ( dove oggi vi è l’unica casa a sinistra del Curone).

Il giorno 10 dicembre 1866 il paese fu colpito da un grande incendio sviluppatosi grazie ai tetti di paglia, fu devastante. Il giorno di Natale un secondo incendio si accese distruggendo le case  prima risparmiate. Tutti i paesi vicini vennero in aiuto in quanto quasi tutto era andato perduto e il fatto venne riportato dai principali giornali.

La tradizione orale vuole che Bruggi (Brugio in alcuni atti) (Brigi il nome dialettale) sia stato fondato da tre briganti in fuga (probabilmente contrabbandieri di sale), di origine ligure,  Tamburelli Pelle e Ferrazza che, con Scapolla proveniente da Cartasegna in comune di Carrega (anche questo situato lungo una delle vie del sale), hanno fondato il Paese. Ancora oggi questi cognomi rivelano le origini della famiglia.

La strada attuale risale al 1930, prima il paese era raggiungibile solo con mulattiere, il primo acquedotto è del 1921.

La corrente elettrica giunse  in paese prima che in molti altri paesi della valle, già nel 1925 fu istallato un generatore nel mulino all’ingresso del paese, era stata creata una rete distributiva e ogni famiglia poteva usufruire di una lampadina da 10 candele, con luce tremolante ma un lusso per l’epoca. La prima radio giunse nel 1930 ed era custodita dal parroco  poi le notizie si divulgavano con il passaparola; la prima macchina a motore, un trattore per la trebbiatrice, nel 1930.

Fino alla seconda guerra mondiale vivevano, o meglio, sopravvivevano, quasi 400 persone; anche il più piccolo apezzamento di terreno veniva coltivato, veniva prodotto orzo,  granoturco da polenta (alimento che ha sfamato per secoli le popolazioni locali), patate, cavoli  fagioli e grano; in taluni anni più freddi il grano non giungeva a maturazione poi, grazie ai nuovi incroci il problema era stato superato, «scandèlla» (cereale simile all’orzo coltivato fino al monte Pre­nardo-Rivassa) e l’avena (“vèssa”) sopratutto per alimentare i muli e luppolo col quale si faceva il pane nero.

Poco diffusa la produzione di frutta, anche se numerosi alberi selvatici dimostrano che potevano essere coltivati, la produzione è sempre stata modestissima. Alimento importante per tutte le famiglie era il riso, già nei primi anni del 1800 vi era una migrazione stagionale verso la lomellina  e il vercellese, dove questo cereale era coltivato e le culture necessitavano di molto personale. Al termine della stagione, ritornando a casa, una parte del compenso era costituito da riso, è così che la “panissa” tipico piatto vercellese,  è così diffuso in zona.

L’autarchia  era già praticata molti anni prima del ventennio, dalle anse del Curone si ricavava la sabbia, per le costruzioni vi erano cave di sassi. La maggior parte delle vecchie case sono costruite non con cemento ma con calce autoprodotta in fornaci dove particolari pietre venivano “cotte” e poi frantumate.

Dall’allevamento del bestiame si ricavava il latte, poi trasformato in burro e formaggio; l’uso era per consumo diretto ma una carta per confezionare il burro ritrovata testimonia  una produzione artigianale destinata al commercio,  databile nei primi decenni del 900’.

I cereali prodotti venivano  macinati nei locali mulini. Si ha notizia di un antico mulino poco a sud di quello del “Carlino” ancora oggi all’interno perfettamente conservato, sulla riva sinistra del Curone, ma prima di questo era in funzione quello all’ingresso del paese poi in seguito trasformato in una segheria. Un altro mulino, probabilmente usato dagli abitanti di Salogni ma raggiungibile con un sentiero da Bruggi, era situato sulla sponda destra del Curone  a valle sotto l’attuale cimitero di Salogni.

Fino alla costruzione della prima strada, i commerci si svolgevano a dorso di mulo sulle varie mulattiere che percorrevano l’appennino, quindi anche la vendita di materie di cui la zona era ricca quale il legname, era poco remunerativa dati i costi di trasporto, fu per questo motivo che ebbe un certo sviluppo la vendita di carbone prodotto artigianalmente nei boschi. Ancora oggi all’occhio esperto, sono visibili le piazzole delle carbonaie. Da ca 10 quintali di legna si ricavava circa 1 qle di carbone, il ricavato dalla vendita era analogo ma le spese di trasporto incidevano per 1/10, sempre a dorso di mulo si intende.

Dopo la sua costituzione alla parrocchia venne assegnato un sacerdote al cui sostentamento contribuiva tutto il paese con una specie di tassazione ma che ha consentito la prima alfabetizzazione poichè era stata istituita una modesta scuola tenuta dal religioso inoltre questi era di aiuto nel dirimere le varie problematiche di una popolazione che in gran parte non sapeva scrivere nè leggere.

 Ecco a questo punto comparire una figura importantissima per il paese: don Natale Goglino.

Egli fu per gli abitanti di Bruggi dal 1897 al 1952 anno della sua morte, un po’ guida carismatica, un po’ prete, un po’ santone.

Era sì arciprete, ma anche medico, orologiaio, maestro, consulente, notaio e soprattutto amico e confidente di ogni abitante.

Egli fu mandato a reggere la parrocchia di Bruggi perché si riteneva che il clima avrebbe giovato alla sua salute cagionevole e gli avrebbe forse prolungato quella vita che i medici avevano diagnosticato essere molto breve. Gli avevano asportato un polmone in seguito ad una grave malattia e la volontà del giovane prete (1872-1952) era quella, se non altro di finire i propri giorni in quel luogo così sper­duto.

 Solo dopo la prima guerra mondiale venne mandata a Bruggi una maestra per una multiclasse elementare.

La Grande Guerra del 1915-18 ha avuto il contributo di Bruggi, sette giovani vi persero la vita.

Durante la seconda guerra mondiale,  i bruggesi staccarono le campane e le sotterrarono per evitare che venissero fuse in cannoni, così le possiamo sentir «tarlingare» (suonare a festa) ancora oggi.

Passarono dal paese i Tedeschi ed i Mongoli, che tutti ricordano per la loro bar­barie. Una sola  però la croce che ricorda a Bruggi l’ultima guerra; quella di un giovane partigiano venuto a trovare la fidanzata, puntuale però ad un appunta­mento non voluto.

 Fino ai primi anni 60’ veniva allevato bestiame bovino e girando per il paese si sentiva un  forte odore di fieno ed era possibile trovare latte fresco, burro artigianale e formaggio locale (“smasò”). I pascoli erano falciati e il fieno  portato in paese con i “gabiou” trainati da mucche; con gli anni 70 tutto è finito!

I cinghiali, il lupo, il tasso, la volpe, l’istrice, la  marmotta che erano ormai scomparsi dai ns. boschi sono ritornati e non di rado è possibile incontrarli come pure daini e caprioli e se alziamo gli occhi: falchi, gheppi, poiane e più raramente grifoni.

Oggi non ci sono più negozi, alberghi, trasporto pubblico, giornali, la Rai non si riceve, le comunicazioni telefoniche sono difficoltose, non c’è ADSL, i cartelli “Vendesi” sono diffusissimi, le tasse aumentate, poi quando arriviamo a Bruggi, il rumore del Curone, l’acqua pura, l’aria limpida tutto si dimentica ....e questo è impagabile.

 

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